Historia

Agli inizi di giugno del 1764, una donna di Langogne, nel Gévaudan, venne attaccata da un animale selvaggio mentre pascolava il suo bestiame. Alla vista della Bestia, i cani si spaventarono e fuggirono; i buoi, al contrario, si raggrupparono coraggiosamente attorno alla loro custode e misero in fuga l’animale. La donna non riportò ferite; scossa, rientrò a Langogne, con il vestito ed il corpetto a brandelli. Sentita la descrizione che diede del mostro che l’aveva attaccata, i più ritennero che la sua mente fosse ancora sconvolta dalla paura. Gli scettici pensarono ad un lupo, magari idrofobo, evento non poi così raro, e tutti dimenticarono in fretta l’accaduto.

Ma solo dopo poche settimane, le voci di una riapparizione della Bestia esplosero lungo la valle dell’Allier. Il 30 giugno, a Saint-Etienne-de-Ludgares (Vivarais), divorò una fanciulla di 14 anni ; l’8 agosto dilaniò una ragazza di Puy-Laurent (Gévaudan); tre quindicenni di Chayla-l’Evêque, una donna di Arzenc, una ragazzina di Thorts ed un pastore di Chaudeyrac furono ritrovati morti in aperta campagna, i loro corpi orrendamente mutilati ed a stento riconoscibili. A settembre scomparvero nel nulla una ragazza di Rocles, un uomo di Choisniet, ed una donna di Apcher; i loro resti furono rinvenuti spersi tra le campagne ed i boschi circostanti. L’8 ottobre un giovane di Pouget tornò a casa terrorizzato e mezzo morto: aveva incontrato la Bestia in un frutteto, rimanendo ferito alla testa ed al torace. 2 giorni più tardi, squarciò la fronte e strappò via il cuoio capelluto ad un tredicenne. Il 19 ottobre una giovane di 20 anni fu ritrovata orribilmente fatta a pezzi vicino Saint-Alban: la Bestia l’aveva massacrata, ne aveva bevuto il sangue e mangiato le interiora.

L’intero Gévaudan era sconvolto. Il Capitano Duhamel, aiutante-maggiore dei Dragoni della Langogne, si rese disponibile a guidare egli stesso un gruppo di coraggiosi contadini per dare la caccia all’animale misterioso. Duhamel uccise un grosso lupo di circa 9 chili, ma la gente non si tranquillizzò: questo lupo comune non era certo quello che cercavano, come tentarono di far loro credere, e di lì a poco ebbero la certezza di come la Bestia fosse ancora là fuori, libera di fare strage.

Una sera di ottobre Jean-Pierre Pourcher, contadino del Julianges, stava riordinando il granaio, mentre fuori tramontava e la neve ricopriva le campagne. Di colpo, un’ombra passò davanti alla finestra del magazzino. Pourcher fu pervaso da “una specie di terrore”, prese il suo fucile, si appostò sull’abbaino della stalla e vide, sulla strada del villaggio di fronte al canale, un animale mostruoso come mai ne aveva visti.
“È la Bestia, è la Bestia!”, si disse.

Nonostante il suo coraggio, tremava così tanto che a stento reggeva l’arma. Imbracciò comunque il fucile, mirò, e fece fuoco; la Bestia cadde, si rialzò, scosse la testa e si fermò guardandosi intorno furiosa. Pourcher fece fuoco di nuovo: la Bestia lanciò un grido terrificante, si girò e scappò via urlando e facendo un gran chiasso, “come quello sollevato da due uomini che litigano furiosamente”. Quella notte, Pourcher si convinse che tutti gli abitanti del Gévaudan, a meno di un miracolo, fossero condannati ad essere sbranati.

Questa storia scatenò il terrore; i lavori nei campi vennero abbandonati, le strade erano deserte; nessuno usciva più da solo e disarmato. Il Capitano Duhamel ed i suoi Dragoni tenevano battute quotidiane; 1200 contadini, armati di fucili, asce, lance e bastoni lo accompagnavano, pronti ad inseguire la Bestia a seconda degli avvistamenti. Si unirono a loro Mr de Lafont (magistrato di Mende), Mr de Moncan (Generale comandante delle truppe nella Linguadoca), un gentiluomo locale, Mr de Morangiès, ed il più audace cacciatore della zona, Mercier; attraversarono tutta la regione, da Langogne a Saint-Cléty, da Malzieu a Marjevols. I banditori reclutavano contadini in ogni villaggio; gli uomini coraggiosi si organizzarono, e si dedicarono a cacciare il mostro sulle strade innevate.

Un giorno le truppe guidate da Mr Lafont, dopo una marcia di 72 ore, si fermarono improvvisamente vicino al castello di Baume. La Bestia! La Bestia è lì! Si poteva vedere, nascosta dietro un muro, mentre acquattata preparava l’attacco ad un giovane pastore che conduceva il bestiame al pascolo. Ma vistasi scoperta, la Bestia si rifugiò in un piccolo bosco lì vicino. Questa volta è fatta: i contadini si gettarono all’inseguimento, alcuni circondarono la macchia, altri si fecero largo tra gli arbusti.

La Bestia saltò fuori, un cacciatore fece fuoco da dieci passi; essa cadde, si rialzò, ricevette un secondo colpo, cadde di nuovo e di nuovo si rialzò, zoppicando verso il bosco. Chiunque la incontrasse, faceva fuoco: fu vista di nuovo nella radura, cadere ad ogni colpo, per poi rialzarsi; alla fine l’avvistarono mentre tornava nel bosco, e spariva…

Le fu data la caccia tutta la notte, ma senza riuscire a trovarla. Credendola ormai morta, la ricerca delle sue spoglie fu posticipata all’indomani. Al mattino, 200 uomini ben armati esplorarono ogni cespuglio, ogni anfratto, ogni cumulo di foglie morte, finché due donne dissero di averla vista zoppicare tra i campi. Due giorni dopo, a 3 miglia di distanza, fu ritrovato un giovane uomo di Rimeize, scannato alla testa ed al fianco. Lo stesso giorno, un bambino di Fontan fu morso al viso ed al braccio; fu anche ritrovato, in un campo vicino alla casa di Mr de Morangiès, il cadavere a brandelli di una ventunenne mandata dai genitori, nonostante le sue paure, a mungere le vacche. Lotta senza speranza! Dei 10 000 uomini che da ottobre si erano dedicati alla caccia, non ce n’era più uno che non ritenesse ormai tutto inutile; il Gévaudan avrebbe dovuto rassegnarsi a soffrire con pazienza la crudele e misteriosa sventura.

Fu chiaro a tutti a questo punto come la Bestia non potesse essere un lupo. Tanti l’avevano vista, e tutti l’avevano descritta nello stesso modo: era una creatura bizzarra, della taglia di un vitello o di un asino; pelo rossastro, testa grossa come quella dei maiali, bocca sempre spalancata, orecchie corte e dritte, torace forte e bianco, coda lunga e dalla punta bianca. Qualcuno diceva che le sue zampe posteriori avessero zoccoli di cavallo.

Sembrava che la Bestia potesse essere in più posti contemporaneamente; nello stesso giorno fu avvistata in posti distanti tra loro 6-7 miglia. Le piaceva alzarsi sulle zampe posteriori e giocare, come se non fosse affatto malvagia. In corsa, era in grado di attraversare un fiume in due o tre balzi; ma fu vista anche camminare tranquillamente nell’acqua senza bagnarsi. Qualcuno assicurò di averla sentita ridere e parlare. Divenne usanza, tra le mamme, sgridare i figli minacciandoli di venir rapiti dalla Bestia, che avrebbe guardato famelica i bambini con le zanne appoggiate al davanzale della finestra. Per finire, raramente divorava i cadaveri delle sue vittime, accontentandosi di farle a pezzi, berne il sangue, e portar via cuoio capelluto, cuore, fegato ed interiora.

La piaga che si abbatté sul Gévaudan fece il giro dell’intero Regno; le notizie ora si trovavano anche sui giornali di Parigi, e la Bestia era sulla bocca di tutti. Persino Re Luigi XV, anche se occupato da altre questioni, si preoccupò di questa vicenda ed autorizzò l’uso delle truppe. Su sua indicazione, il Capitano Duhamel pose il suo quartier generale a Saint-Chély, dove si unì al più famoso cecchino della regione, Mr de Saint-Laurent e Lavigne. Lì mise a punto la sua tattica di caccia, consistente in 8 battute; venne fissata una taglia in premio per chi avesse ucciso la Bestia, dapprima di 2000, poi di 6000 sterline; i preti lessero queste notizie ai fedeli durante le messe, e tutti ne furono confortati. Anche se proveniva dall’Inferno, il mostro sarebbe stato sconfitto, e presto o tardi sarebbe andato incontro alla morte. Per essere sicuri dell’avvenuta uccisione della Bestia, i signori della Linguadoca ordinarono che il suo cadavere fosse esposto al pubblico.

Le 8 battute di caccia si svolsero tra il 20 ed il 27 novembre, ma non sortirono alcun risultato. Appena le truppe fecero ritorno ai loro alloggiamenti, si scoprì che la Bestia era nel Sainte-Colombe, dove aveva ucciso cinque ragazze, una donna e quattro bambini… la paura s’intensificò: il vescovo di Mende consacrò una pastorale per questa calamità pubblica, ed in ogni diocesi furono recitate preghiere per l’avvento di un nuovo San Giorgio. E mentre la gente era occupata a pregare, a Saint-Méry la Bestia uccise una madre in pieno giorno, Delphine Courtiol. Era la sessantesima vittima, senza contare i tanti infelici che erano stati feriti o mutilati negli ultimi 6 mesi. Il 12 gennaio 1765, un caso sconvolse l’intera contea: Portefaix, un pastore dodicenne di Chanaleilles, era di guardia al suo bestiame sulle montagne, accompagnato da 4 amici e 2 bambine: temendo la Bestia, questi ragazzini avevano armato i loro bastoni legandogli in punta dei coltelli. Una delle bambine gridò: la Bestia era comparsa all’improvviso da un cespuglio accanto a lei.

Jacques Portefaix radunò il gruppo, i più forti in prima linea per proteggere gli altri; il mostro girava loro intorno, sbavando. I coraggiosi bambini, stretti l’uno all’altro, si difendevano coi loro bastoni: tuttavia, la Bestia gli si gettò in mezzo, afferrò per la gola il piccolo Panafieux, di 8 anni, e lo trascinò via. Portefaix, eroicamente, l’attaccò più volte finché l’animale non mollò la presa, non senza però aver prima strappato parte del volto - che divorò sul posto - a Joseph Panafieux. Eccitato, attaccò di nuovo i ragazzini, gettò a terra una delle bambine col suo orribile muso, morse uno dei ragazzi (Jean Veyrier) alle labbra, l’afferrò per un braccio e lo portò via.

Un altro ragazzo, terrorizzato, urlò di lasciarlo al suo destino e scappare via. Ma Portefaix rispose che avrebbero salvato il loro amico, o sarebbero morti con lui, e tutti lo seguirono, anche Panafieux, seppur ferito al volto ed accecato dal suo sangue; insieme attaccarono coraggiosamente la Bestia, cercando di colpirla agli occhi o alla bocca; la costrinsero in una palude, dove s’impantanò e lasciò andare il bambino. Portefaix si frappose tra il suo amico ed il mostro, lo colpì sul muso finché finalmente arretrò, si scrollò e corse via.

Il verbale ufficiale di questo episodio fu inviato al vescovo di Mende, che lo mandò a sua volta al Re. Questi decise che ognuno dei 7 piccoli pastori di Chanaleilles avrebbe ricevuto 300 sterline, e che Portefaix sarebbe stato istruito a spese del Regno. Dopo alcuni mesi fu trasferito al Monastero dei Frères di Montpellier: dopo studi brillanti, entrò nell’esercito e morì nel 1795 come Tenente di artiglieria.

In tutta la Francia, giornali, riviste ed immagini descrivevano l’epica lotta; la fama di Jacques Portefaix crebbe immediatamente, così come quella della Bestia. Da ogni angolo del Regno, soprattutto da Marsiglia e dalla Guascogna, giungevano eroi pronti a liberare il Gévaudan, attratti anche dalla taglia di 9400 sterline posta in palio dal Re per il fortunato cacciatore che avesse sconfitto l’invincibile e misterioso animale.

Il popolo terrorizzato non perdeva interesse nella vicenda, anzi venivano continuamente escogitate trappole bizzarre: qualcuno ebbe l’idea delle “donne artificiali”, da piazzarsi al limitare dei boschi frequentati dalla Bestia. Era molto semplice: un sacco fatto di pelle di pecora avrebbe riprodotto il corpo, altri due sacchi slungati avrebbero rappresentato le gambe; il tutto sarebbe stato sormontato da una vescica dipinta a mo’ di volto e riempito di spugne inzuppate di sangue fresco, mischiate a budella intrise di veleno, in modo da uccidere la Bestia con la sua stessa voracità.

Qualcun altro propose di sorteggiare 25 uomini coraggiosi, camuffarli con pelli di leone, orso, leopardo, cervo, daino, vitello, capra, cinghiale e lupo, e con un copricapo riempito di lame di coltello: ognuno di essi avrebbe dovuto poi portare con sé una scatoletta contenente 3 etti di grasso di cristiano mischiato con sangue di vipera, e 3 pallottole morse da una vergine… un altro progettò un infernale congegno composto da 30 fucili, azionati da altrettante funi collegate a loro volta ad un vitello di 6 mesi che, usato come esca per la Bestia, vedendola si sarebbe agitato mettendo in moto il marchingegno.

Mentre le genti avevano di queste idee balorde, la Bestia seminava distruzione, ed in modo sempre più sfacciato. Intorno al 15 gennaio, fece a pezzi Jean Chateauneuf, un quattordicenne della parrocchia di Crezes. Fu celebrato il funerale per la vittima, ed il giorno dopo, al crepuscolo, mentre il padre piangeva nella sua cucina, la Bestia si affacciò alla finestra, appoggiando le zampe sul davanzale. Chateauneuf non ci pensò due volte e cercò di afferrarla per le zampe, ma senza riuscirci. Il 2 febbraio attraversò il villaggio di Saint-Amant nell’ora in cui i paesani assistevano alla messa; tentò di entrare in qualche casa alla ricerca di prede, ma tutte le porte erano ben bloccate e se ne andò contrariata.

Fu allora organizzata un’imponente battuta di caccia: Duhamel chiese aiuto in 73 parrocchie, e 20 000 uomini risposero all’appello; i nobili locali si misero alla testa dell’operazione, e questo formidabile esercito scese in campo il 7 febbraio. Il terreno era ricoperto di neve e fu facile trovare le orme della Bestia. Cinque contadini di Malzieu fecero fuoco: cadde urlando, ma si rialzò immediatamente e scomparve. Il giorno dopo staccò la testa ad una ragazzina quattordicenne, i cui resti, lasciati ben in vista sotto il tiro di diversi abili fucilieri, furono utilizzati come esca. Ma la Bestia fiutò l’inganno e non si fece vedere.

Lo scoramento era enorme; le cacce infruttuose, la presenza dei Dragoni, le spese occorrenti per il loro mantenimento rovinarono il paese, già paralizzato dal fatto che nessuno più pascolava il bestiame ed i mercati andavano deserti. Un disastro di tale portata non si era mai abbattuto sul Gévaudan, e nessuno era in grado di vederne la fine.

In Normandia viveva all’epoca un nobiluomo di nome Denneval, la cui reputazione di cacciatore di lupi era famosa: si diceva ne avesse uccisi 1200. La storia della Bestia gli tolse il sonno: andò a Versailles, riuscì ad incontrare il Re, ed offrì i suoi servigi, che furono accettati. Giurò a Sua Maestà che avrebbe ucciso la Bestia e ne avrebbe portato il cadavere impagliato a Versailles, così da mostrarlo in trionfo a tutta la corte. Il Re gli augurò buona fortuna e Denneval si mise in cammino.

Arrivò a Saint-Flour il 19 febbraio con suo figlio, due bracchieri e sei mastini enormi: per non affaticare troppo i cani, viaggiarono a rilento e la Bestia ebbe il tempo di divorare altri 20 bambini, quasi uno al giorno.

Denneval si preparò con calma ed accortezza: volle studiare bene che animale si accingeva a cacciare. I contadini si risollevarono, si fecero animo e nessuno aveva dubbi che alla prima occasione di far fuoco, Denneval avrebbe abbattuto la Bestia. Ma il cacciatore normanno non aveva fretta: esplorò minuziosamente la zona, ed annotò che ogni suo balzo, su terreno pianeggiante, raggiungeva quasi i 10 metri. Concluse che era un animale nient’affatto facile da catturare. Oltretutto, i suoi cani non erano ancora giunti, e dovette aspettarli prima di cominciare la caccia.

Come se non bastasse, non amava avere rivali, e dichiarò che se fosse rimasto Duhamel, non avrebbe nemmeno cominciato. Litigi, piccoli intrighi, il tempo passava ma la Bestia non aspettava: il 4 marzo ad Ally divorò una donna di 40 anni; l’8 mangiò una ventenne del villaggio di Fayet; l’11, in un magazzino di Mallevieillette, fece a pezzi una bambina di 5 anni; crimini simili furono compiuti il 12, il 13, ed il 14, in posti così distanti tra loro da non riuscire a spiegare come potesse muoversi così velocemente. Questo costante girovagare suscitò un tale terrore in Francia, che quando simili incidenti avvennero vicino Soissons, ovunque fu pubblicato che la Bestia stava devastando l’Alvernia e la Piccardia allo stesso tempo!
Denneval prese in mano la situazione e proclamò che avrebbe aperto la caccia, ma solo senza concorrenti. Duhamel insistette nel non voler andarsene… e la Bestia intanto si riempiva la pancia!

Non c’è ragione di scendere nei particolari della disputa tra normanni e Dragoni; come previsto, i primi prevalsero: Duhamel dovette andarsene con i suoi soldati, contrariato all’idea di lasciare la vittoria al suo rivale; ora non c’erano più dubbi che presto il cacciatore di lupi avrebbe trionfato sulla Bestia. Sfortunatamente, però, in tre mesi non riuscì a catturare nulla; i 10 000 contadini che aveva al suo seguito riuscirono ad uccidere solo un povero lupo femmina, pesante a malapena 18 chili. Nel suo stomaco furono trovati solo qualche pezzo di stoffa e pelle di lepre.

Invano Denneval utilizzò mezzi indegni della sua grande reputazione; invano avvelenò un cadavere che piazzò come trappola vicino un bosco dove il mostro era stato avvistato: esso divorò il cadavere e se ne andò come se nulla fosse. Dopo 10 settimane di caccia ed imboscate, fucilieri e trappole, bisognava ammettere che la Bestia si prendeva gioco di uomini, pallottole e veleni. Anche il più ottimista dei cacciatori si scoraggiò, mentre Denneval lamentava di essere mal assistito; i paesani da parte loro lo deridevano, ritenendolo incapace di uccidere anche un semplice coniglio. Gli animi si inasprirono, il tono della corrispondenza ufficiale divenne caustico, e ci fu chi accusò i normanni di prendersela con troppa calma.

Fu un ottimo periodo per la Bestia. Si mostrava quotidianamente e non si faceva mancare nulla. La lista dei suoi assalti era impressionante: a La Clause divorò una giovane ragazza, Gabrielle Peissier, e lasciò il suo cadavere così in buon ordine, che chi ne scoprì il corpo pensò che la giovane stesse solo dormendo. Il 18 aprile uccise un mandriano dodicenne, lo prosciugò del sangue come farebbe un macellaio, poi ne mangiò il viso, gli occhi, le cosce, e gli lussò le ginocchia. A Ventuejols, squarciò la gola ad una donna quarantenne, dopodichè uccise due ragazze, che lasciò dissanguare prima di asportar loro il cuore.

Non c’erano villaggi nel Gévaudan i cui registri parrocchiali non riportassero, nella primavera del 1765, sinistri verbali del tipo: “Certificato di morte di … parzialmente divorato dalla Bestia feroce…” Continuamente avvistata, inseguita, sparata, braccata, avvelenata ma sempre alla ricerca di cibo, riappariva ogni giorno e sembrava divertita dal terrore che provocava: fu vista a distanza, mentre preparava un agguato, seduta sul posteriore, e gesticolare con le zampe anteriori, come se si prendesse gioco delle sue future vittime.

Il clamore di questi eventi giunse al di là del mare; gli inglesi, al sicuro sulla loro isola, si facevano beffe del terrore in Gévaudan: un quotidiano inglese scrisse divertito che un esercito francese di 120 000 uomini era tenuto in scacco da un feroce animale, che a sua volta, dopo aver divorato 25 000 cavalieri e l’intera artiglieria, era stato ucciso da una gatta a cui aveva rapito i cuccioli.

Era troppo: ora in questione era l’onore stesso della nazione, e Luigi XV, tutt’altro che impressionabile, capì che era il momento di agire ed ordinò al suo Gran Portatore di Archibugio, Mr Antoine de Bauterne, di recarsi immediatamente nel Gévaudan e tornare con le spoglie del mostro. Questa volta sembrava fatta: la Bestia era destinata a morire per ordine stesso di Sua Maestà.

Antoine, suo figlio, i suoi servitori, le sue guardie, i suoi valletti ed i suoi segugi arrivarono a Saugues il 22 giugno. La prima cosa di cui si occupò fu licenziare Denneval; poi cercò volontari che si prendessero cura dei suoi bagagli e dei suoi cani. Si atteggiava in modo arrogante, con l’aria di sfida di un conquistatore. E la Bestia lo sfidò: il 4 luglio, a mezzogiorno, assalì un’anziana donna, Marguerite Oustalier, che stava filando la lana in un vicino campo di Broussoles, lasciandola a terra morta dopo averle mutilato il volto.

In funzione della sua carica di Gran Portatore di Archibugio del Re, di Tenente della Louvetiere, e di Cavaliere di Saint-Louis, Antoine non batté ciglio; organizzò delle ricerche, che però non diedero alcun risultato. I contadini lamentavano l’elevato costo del suo ingaggio, con risultati non migliori di quelli dei suoi predecessori. Sorprendentemente, dopo 3 mesi di tribolazioni ed errori, Antoine partì con il suo seguito verso una zona dell’Alvernia dove la Bestia non era mai stata avvistata. Si recò nei boschi presso l’Abbazia di Chazes, dove numerosi vivevano i lupi. Il 21 settembre, durante un appostamento, vide avvicinarglisi un animale enorme, la bocca spalancata e gli occhi iniettati di sangue. Non c’erano dubbi, era la Bestia! Antoine sparò, essa cadde, colpita all’occhio destro. Si rialzò ma un secondo proiettile la raggiunse in pieno; fu allora che rovinò a terra, morta.

Antoine e le sue guardie le furono addosso: la Bestia pesava più di 45 chili, era lunga un metro e 75, aveva denti e zampe enormi. Ma alla fine era solo un lupo, e fu portato in trionfo a Saugues, dove il chirurgo Boulanger procedette con l’autopsia. Si mormorò che un gruppo di bambini, che tempo prima avevano visto la Bestia, ricevettero pressioni da Antoine affinché la identificassero nell’animale ucciso. Furono redatti i verbali, e Mr de Ballainvilliers, Sovrintendente dell’Alvernia, scrisse un’entusiasta lettera a Sua Maestà ringraziandolo per aver salvato le genti del Gévaudan. Il cadavere della Bestia fu portato a Clermont, impagliato ed inviato a Fontainebleau: il Re rise divertito della semplicità di questi paesani, la cui superstizione aveva trasformato un comune lupo nella Bestia dell’Apocalisse.

Per aver liberato il Regno dall’incubo, Antoine fu incredibilmente nominato Gran Croce dell’Ordine di Saint-Louis, e ricevette una pensione di 1000 sterline; suo figlio ottenne il comando di una compagnia di cavalleria e fece fortuna esibendo la Bestia a Parigi; dopo 10 anni, veniva ancora esposta nelle fiere. Era ufficialmente morta, e tutti la dimenticarono.

Ma non nel Gévaudan. Gli scettici assicuravano che Mr Antoine fosse solo un impostore, che alla fine, pur di obbedire al Re, aveva ucciso una bestia, ma non LA Bestia. La quale, ad ogni modo, non si fece più vedere – per cortigianeria senza dubbio, ma erano in molti a pensare che presto sarebbe ricomparsa.

Ed alla fine, ricomparse. Ai primi d’inverno, rapì una ragazza di Marcillac, ed il secondo pasto lo fece con una donna di Sulianges, di cui risparmiò solo le mani. I preti ricominciarono a dover scrivere nei registri parrocchiali “Sepolti nel cimitero del villaggio i resti di … divorata dalla Bestia che insanguina le nostre terre”. Ricominciarono le sue scorrerie, e dal primo gennaio 1766, fu vista ogni giorno.

Ed era la Bestia, senza possibilità di errore: come un tempo, rapiva quotidianamente un bambino o una donna; e come un tempo, scendeva nei villaggi nottetempo, appoggiando le sue zanne ai davanzali delle finestre e scrutando l’interno. Non era un lupo, l’intero Gévaudan era pronto a giurarlo: negli ultimi due anni, nella regione, erano stati uccisi 152 lupi, ed i contadini non potevano sbagliarsi.

Ricominciarono le tragedie: due piccole ragazze di Lèbre stavano giocando fuori di casa, la Bestia arrivò e balzò con le sue fauci su una di loro. L’altra bambina le saltò sulla schiena, le si aggrappò con forza e si lasciò trasportare via. Sentendo le urla, gli abitanti del villaggio corsero a vedere… troppo tardi: ad una bambina aveva già mozzato la testa; la faccia dell’altra era già a pezzi. Un contadino, Pierre Blanc, combatté con la Bestia per 3 ore consecutive. Quando furono troppo stanchi, si riposarono per poi ricominciare; costui la vide da molto vicino: disse che stava ritta sulle zampe posteriori per poter graffiare, e sembrava che sul ventre avesse tanti bottoni.

Il Gévaudan chiese aiuto; ma i suoi pianti rimasero inascoltati. Il Sovrintendente della provincia non volle altri guai, dato che Versailles considerava il caso già chiuso da lungo tempo. Parlare nuovamente della Bestia voleva dire sfidare il Re, o quanto meno insinuare che egli fosse stato ingannato. E quale pazzo avrebbe avuto il coraggio di irritare il Re per qualche contadino in più o in meno? La Bestia era morta, uccisa da Mr Antoine, e basta: non poteva essere tornata.

Eppure la Bestia continuava a divorare persone, ancora e ancora. Il 19 giugno 1767, dopo un pellegrinaggio a Notre-Dame-des-Tours, il Marchese di Apcher, uno dei signori del Gévaudan, organizzò una battuta di caccia; uno dei cacciatori era Jean Chastel, sessantenne, nato agli inizi del secolo a Darmes, vicino Besseyres-Sainte-Marie. Era uomo fermo e religioso, stimato nell’intera regione per la sua condotta onesta e scrupolosa.

Jean Chastel si appostò di fronte a Sognge-d’-Auvert, vicino Saugues. Aveva con sé il suo fucile, caricato con due pallottole consacrate; stava recitando il rosario, quando vide la Bestia, quella vera. Con calma, ripose in tasca il rosario, e si tolse gli occhiali… la Bestia non si mosse: sembrava che attendesse. Chastel imbracciò la sua arma, mirò, e fece fuoco: la Bestia restò immobile. Attirati dallo sparo, giunsero i cani, che l’assalirono e la gettarono a terra. Ora era morta. Il suo corpo, caricato su un cavallo, fu portato al castello di Besques: esaminato, fu stabilito che si trattava proprio della Bestia, non di un lupo. Le sue zampe, le orecchie, l’enormità delle fauci indicavano un mostro di origine sconosciuta; nel suo stomaco, fu rinvenuta parte dell’arto superiore di una giovane donna, senza dubbio quella che aveva divorato due giorni prima a Pébrac.

Il corpo della Bestia fu esposto per tutta la regione, dopodiché fu posto in una cassa e Jean Chastel portò a Versailles questo trionfante e scomodo bagaglio. Lì un gruppo di scienziati avrebbe stabilito di che animale si trattasse, e sarebbe stato altresì chiaro come Mr Antoine avesse preso alla leggera il compito affidatogli dal Re. Sfortunatamente, il viaggio ebbe luogo sotto il sole di agosto; il cadavere della Bestia si ridusse in un tale stato di decomposizione, che dovette essere sepolto senza che nessuno avesse lo stomaco di analizzarlo. In questo modo, non poté mai essere stabilito che cosa fosse la Bestia del Gévaudan. Comunque Chastel fu portato davanti al Re, che però si prese gioco di lui. Quell’uomo coraggioso pensò di essere vittima di un intrigo di corte, ma non protestò la sua innocenza: s’inchinò umilmente e fece ritorno nel Gévaudan, dove l’Esattore Generale lo premiò con 72 sterline.
Recenti ricerche storiche suggeriscono che mai Jean Chastel essere "montato" a Parigi, ma se un'altra persona che ha fatto il viaggio.


Ma il Gévaudan non si rivelò ingrato come Versailles: Jean Chastel divenne un eroe. Il suo nome divenne noto ovunque, anche un secolo e mezzo più tardi, fino ai giorni nostri; uno scrittore locale gli dedicò un poema epico di 360 pagine; l’uccisione del mostro fu descritta vividamente: l’impavido cacciatore fu visto

"Aggiustare il suo fucile; il colpo esplode, e la Bestia
vomita fiotti di sangue. Sicuro di aver fatto centro,
conscio come ogni sforzo, ogni pianto sia superfluo,
Chastel esclama: Bestia, non mangerai più nessuno!"

A la Sogne-d’-Auvert – fatto degno di nota – si dice che, nel punto in cui fu sepolta la Bestia, l’erba non cresca più: è di color rossiccio, e non vi sono animali che vogliano brucare quell’erba dannata

G. LENOTRE Histoires étranges qui sont arrivées, 1933